La bioingegneria è donna?

La bioingegneria è donna?

Come molti sapranno, il campo dell’ingegneria nel suo complesso è a dominanza maschile, in Italia, come probabilmente in tutto il mondo. Un ‘predominio’ storico legato, secondo quel che la tradizione ci rimanda, al fatto che ancora fino a qualche decennio fa esistesse una forte convinzione che il mestiere dell’ingegnere fosse per lo più ad appannaggio maschile. Tuttavia, nonostante questa strana convinzione, l’ingresso delle donne nel campo dell’ingegneria non è affatto recente. Infatti, bisogna tornare al 5 settembre del 1908 per vedere la prima donna ottenere il titolo di Ingegnere in Italia, presso il Politecnico di Torino.

 

Emma Strada, la prima laureata in Ingegneria nel 1908, nelle cave di Rio Marina, 1909,  foto dall’Archivio Storico A.I.D.I.A. – Associazione Italiana Donne Ingegnere e Architetto, da lei fondata nel 1957 per promuovere il lavoro delle donne nel campo della scienza e della tecnologia.

 

Lei fu, Emma Strada. Dopo di lei tante altre donne cominciarono ad avvicinarsi all’ingegneria, cominciarono a nascere le prime associazioni per promuovere il lavoro delle donne nel campo della scienza e della tecnologia, e cominciarono ad arrivare i primi riconoscimenti importanti, ma il trend continuava ad essere lo stesso: molti più uomini che donne si iscrivevano ai corsi di ingegneria.
La tendenza si conferma ancora negli ultimi anni, ma ciò che è estremamente interessante per noi è che l’ingegneria biomedica sembra essere un’area pronta a ribaltare questo trend. La conferma si trova in dati riferiti agli Stati Uniti dove, nel 2015, di tutte le lauree triennali conferite in Ingegneria (Bachelor’s Degree), solo il 20% è stato conferito a donne. Ma… nel contesto del singolo corso di laurea in Ingegneria Biomedica, ben il 40.9% delle lauree è stato conferito a delle donne.

 

Opera di J. Howard Miller, “Rosie la Rivettatrice”, manifesto pubblicitario apparso durante la seconda guerra mondiale che invitava le donne a prendere il posto di lavoro degli uomini partiti per il fronte. “We can do it!” può essere ancora oggi un’esortazione per tutte le donne che vogliono inserirsi in un campo a dominanza maschile.

 

È facile capire quanto questo sia in forte contrasto rispetto ai campi più tradizionali dell’ingegneria meccanica o elettrica, dove solo il 13.2% e 12.5%, rispettivamente, dei laureati triennali sono donne. Questo trend che vede una maggiore partecipazione delle donne nell’ingegneria biomedica non si ferma ai corsi di laurea triennali, ma continua sia per le lauree magistrali (Master’s Degree) che per i dottorati (Ph.D.).

 

Nel 2015, negli Stati Uniti, il corso di laurea in ingegneria biomedica ha avuto la più alta percentuale di donne ad aver conseguito la laurea magistrale nelle discipline ingegneristiche (dati dell’American Society for Engineering Education).

 

A questo punto, la domanda a cui si vuole cercare di rispondere, dati alla mano, è: perché l’ingegneria biomedica attrae così tante donne? E ancor più importante, cosa possono le altre discipline specialistiche imparare da questo campo per incrementare il numero donne all’interno del loro campo? La bioingegneria ha in sé una forza: la multidisciplinarietà e il fatto di riuscire ad integrare al suo interno la medicina e l’ingegneria, ma cosa specificatamente di questa combinazione risulta maggiormente attraente per le donne rispetto ad altre discipline?

Una delle più comuni teorie riportate è che le donne, che entrano nel campo della bioingegneria, già appassionate di matematica e scienza, sono spinte dalla voglia di essere un aiuto per migliorare le vite degli altri. Così, Lina Nilsson [1], Innovation Director al Blum Center for Developing Economies at the University of California (Berkeley), nel 2015 scrisse sul The New York Times:

 

“Women seem to be drawn to engineering projects that attempt to achieve societal good.”

 

Lei ed altre sue college ritenevano infatti che quando le università offrono opportunità centrate a migliorare la vita e la salute, le donne mostrano più propensione a parteciparvi. Per esempio, al D-Lab al MIT [2], focalizzato sullo sviluppo di tecnologie che migliorano la vita delle persone che vivono in condizioni di povertà, più del 74% degli studenti sono donne. Inoltre, altri studi avevano già mostrato che le donne sembrano essere più filantropiche degli uomini. Sicuramente, questo non è un caso, ma non è nemmeno l’unica motivazione per cui si sceglie di studiare bioingegneria ed è chiaro che il desiderio di aiutare gli altri può condurre sia uomini che donne a molti differenti tipi di carriere, anche diverse dall’ingegneria biomedica. Molti credono infatti che questa semplice motivazione tolga credito alla grande curiosità intellettuale e capacità tecnica di cui le donne ingegnere sono dotate.


Nozomi Nishimura [3], Assistant Professor di ingegneria biomedica alla Cornell University, crede infatti che sia la natura collaborativa del campo ed il fatto di essere una disciplina relativamente nuova a giocare un ruolo importante. Secondo lei, il fatto di essere un campo multidisciplinare e nuovo produce una cultura maggiormente inclusiva. L’ingegnere biomedico deve infatti interfacciarsi con gli ingegneri “tradizionali”, con i medici, con i biologi, con i fisici e anche con i pazienti e deve saper comprendere la “lingua” di ognuno di essi, per trovare la strada per far comunicare questi diversi campi, verso un’unica direzione. Questa natura collaborativa potrebbe essere un’ulteriore spiegazione della maggiore presenza di donne in questo campo. Ci sono, infatti, anche alcuni studi che dimostrano come le donne preferiscono scegliere ambienti lavorativi in cui il successo è definito da un team rispetto agli sforzi del singolo [4].

 

Un altro motivo che spingerebbe sempre più donne a studiare ingegneria biomedica, almeno negli Stati Uniti, è la sicurezza di un lavoro sia all’interno che all’esterno del campo ingegneristico. Secondo lo “United States Bureau of Labor Statistics’ Occupational Outlook Handbook for architecture and engineering occupations”, il numero di posti di lavoro disponibili nel campo dell’Ingegneria Biomedica ha una proiezione di crescita del 23% dal 2014 al 2024. Mentre le altre discipline ingegneristiche, come l’ingegneria meccanica, l’ingegneria chimica, l’ingegneria elettrica e l’ingegneria elettronica hanno un’aspettativa di crescita fra lo 0 e il 5%.

 

Perciò…

 

molte donne che sono in cerca di una carriera soddisfacente sia da un punto di vista intellettuale che finanziario stanno decidendo di studiare ingegneria biomedica.

 

Ovviamente, alla base c’è sempre un interesse verso le materie a sfondo biomedico, ma fra tutte la bioingegneria sembra dare maggiore sicurezza ai più giovani. Inoltre, per quelli che scelgono di lasciare il campo dell’ingegneria, un background bioingegneristico consente di entrare anche in altri campi, fra cui la medicina, la farmacia, l’informatica, l’economia e la consulenza. Un altro aspetto fondamentale è che negli Stati Uniti i neolaureati in Ingegneria Biomedica sentono riconoscersi l’importanza della propria laurea perché gli operatori del mondo sanitario ne comprendono il valore. In poche parole, sanno chi è e cosa fa l’ingegnere biomedico ed anche in campo industriale una figura di questo tipo è ritenuta capace, non solo di disegnare, ma anche di progettare un buon prodotto, e colmare con passione il gap fra il prodotto stesso ed i medici, e fra il prodotto stesso ed il paziente.

 

Ed in Italia? In Italia perché scegliamo di studiare Ingegneria Biomedica? Qui le dinamiche sono sicuramente diverse. A fronte di un’eccellente formazione universitaria, molti si vedono costretti a migrare proprio laddove questa professione è maggiormente riconosciuta. I motivi sono vari, ma la stragrande maggioranza di quelli che vanno via, lo fa per ripagare i propri studi, per dare valore al proprio sacrificio e continuare a lavorare con passione. Gli ingegneri che si formano presso le università italiane sono fra i migliori al mondo, gli ingegneri biomedici fra questi, eppure qui sembra ancora mancare quella cultura inclusiva che spinge gli americani a scegliere e a trovare l’ingegneria biomedica.

 

Noi di WeWomEngineers stiamo cercando di capire da dove nasce questa contraddizione tutta italiana. Vorremmo aiutare i più giovani, i meno giovani, i più esperti, i meno esperti e tutti gli interessati a trovare una spiegazione che sia contestualizzata al nostro paese. Questa cultura maggiormente inclusiva, la multidisciplinarietà, l’integrazione fra medicina e ingegneria, l’impatto sociale di questa professione e il compenso intellettuale ed economico sono anche per noi motivi di scelta? E poi, alla fine del percorso universitario, di dottorato, o quant’altro, cosa troviamo? Quanti di noi si ritrovano a vedere confermato il motivo della loro scelta? Quello che capiremo insieme si delineerà passo dopo passo, ma il nostro progetto ha bisogno di un dato da cui partire e per avere un dato bisogna chiedere. E noi ve lo chiediamo, vi chiediamo di rispondere alle nostre domande, perché è necessario capire!

 

Chiediamo alle donne bioingegnere di spiegarci perché hanno scelto l’Ingegneria Biomedica e a tutti i bioingegneri, qual è la motivazione che vi ha spinto a far parte di questo mondo?

 

Le vostre testimonianze sono fondamentali! Potete scriverci in qualunque momento sui nostri social, pagina Facebook, Linkedin e Twitter, oppure mandare una email a info@wewomengineers.com. Saremo lieti di ascoltarvi!

 

Stay Tuned,

Mayra


 

Fonti e approfondimenti:

[1] https://www.wilsoncenter.org/person/lina-nilsson

[2] https://d-lab.mit.edu/

[3] https://www.bme.cornell.edu/people/profile.cfm?netid=nn62

[4] http://pulse.embs.org/may-2017/women-break-an-engineering-barrier/

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