L’Ingegnere Clinico: questo sconosciuto!!!

L’Ingegnere Clinico: questo sconosciuto!!!

 

Parte con questo post la mia rubrica “L’ingegneria Clinica”.

 

Il titolo del post è naturalmente sarcastico, ma ahimè non troppo lontano dalla realtà: ad oggi infatti non esiste una legge a livello nazionale che riconosce e tutela la figura dell’Ingegnere Clinico in quanto tale.

 

Ma facciamo un passo indietro, chi è e cosa fa l’Ingegnere Clinico? E qual è il nesso con l’Ingegnere Biomedico?

 

L’Associazione Italiana Ingegneri Clinici (AIIC), che opera in Italia sin dai primi anni ’90, definisce “Ingegnere Clinico” un “professionista che partecipa alla cura della salute garantendo un uso sicuro, appropriato ed economico delle tecnologie nei servizi sanitari”. In particolare, le problematiche delle materie che l’ingegnere clinico si trova ad affrontare lo indirizzano ad approfondire materie tecniche (informatica clinica, materiali, etc.), sanitarie (fisiologia, anatomia, etc.) e gestionali (organizzazione sanitaria, risk-management, legislazione, economia, etc.) in modo da poter costruire le basi sia teoriche sia pratiche importanti nell’attività lavorativa quotidiana e nel costante colloquio con le altre professioni di tipo sanitario ed economico-giuridico.

 

Medical team isolated in white

 

L’Ingegneria Clinica rappresenta un “sottoinsieme” dell’Ingegneria Biomedica e in realtà la principale differenza tra le due è rappresentata dalla loro pratica professionale: l’ingegnere clinico è presente negli ospedali, dove le apparecchiature biomediche vengono utilizzate; mentre l’ingegnere biomedico è presente principalmente negli istituti accademici, nei laboratori o presso le aziende produttrici delle tecnologie medicali.

 

Appare quindi chiaro come uno dei compiti fondamentali dell’ingegneria clinica sia quello di creare un “ponte” tra la tecnologia e la cura della salute sia in termini di ottimizzazione della spesa sanitaria, sia in termini di qualità e sicurezza delle funzioni erogate il tutto soprattutto in ambito ospedaliero.

 

Infatti, se la diffusione negli ospedali di un numero crescente di apparecchiature biomediche all’avanguardia dal punto di vista tecnologico ha permesso di migliorare la qualità della diagnosi, della terapia e della cura, tuttavia tale ingresso ha contribuito a rendere difficilmente gestibile sia la spesa sanitaria sia la sicurezza e il “management” delle apparecchiature stesse.

 

In questo scenario è quindi necessario che gli ospedali debbano dotarsi delle competenze atte a portare avanti questa gestione, competenze che non sono proprie delle “classiche” figure riconosciute dal Servizio Sanitario Nazionale, ma che richiedono competenze tecniche, ingegneristiche appunto.  L’organizzazione di un Servizio di Ingegneria Clinica per le Aziende Sanitarie (SIC) diventa, quindi, un fattore strategico per la gestione e il controllo della spesa sanitaria e allo stesso tempo, per garantire la massima qualità delle prestazioni erogate in condizioni di sicurezza.

 

In realtà i primi ad accorgersi della necessità di figure di questo tipo, all’interno degli ospedali, sono stati gli americani. L’Ingegneria clinica si sviluppa infatti negli USA dagli anni ’70, quando amministratori ospedalieri e autorità accademiche iniziarono a ritenere necessaria, all’interno delle strutture ospedaliere, la presenza di personale tecnico capace di assicurare un elevato grado di sicurezza e una corretta gestione delle apparecchiature presenti nelle strutture stesse. Si avviò così la formazione di specifici ingegneri (Clinical Engineer) e di tecnici specializzati (Biomedical Equipment Technician). Già dopo soli 20 anni negli Stati Uniti più della metà degli ospedali con almeno 200 posti letto disponeva di un proprio SIC.

 

E in Italia?

 

L’Italia, pur essendo uno dei Paesi con un patrimonio tecnologico sanitario estremamente ricco, si colloca tra i paesi industrializzati con la minore diffusione di ingegneria clinica nelle proprie strutture sanitarie/ospedaliere. Tale scarsa diffusione può essere spiegata dal fatto che, sebbene gli Ingegneri Clinici siano presenti ed operativi in Italia da circa un trentennio, soltanto negli ultimi anni le iniziative a livello parlamentare e ministeriale si sono dimostrate più sensibili all’argomento, avviando un percorso che potrebbe concretizzarsi col riconoscimento professionale del ruolo specifico dell’Ingegnere Clinico e con l’obbligatorietà per tutte le strutture sanitarie italiane dell’istituzione del SIC.

 

Oggi l’ingegnere clinico in Italia, nonostante sia nelle strutture sanitarie una figura essenziale, spesso è una professionalità assente o comunque non strutturata in modo chiaro nei processi e nelle funzioni assistenziali. Questa “assenza o imprecisione”, come è stato sottolineato nel XVII convegno AIIC tenutosi dal 7 al 9 aprile 2016 a Bari (dal titolo “L’Ingegneria Clinica nello sviluppo della Sanità tra Ospedale e Territorio”), non genera solo un problema di sicurezza delle apparecchiature, ma anche e soprattutto di sicurezza di sistema. “Una grande o piccola struttura sanitaria deve avere un referente affidabile e competente, per le proprie tecnologie sanitarie”, ha sottolineato più di una volta Lorenzo Leogrande, presidente dell’AIIC, “Che fine farebbe un reparto con ottime figure cliniche e infermieristiche, senza uno specifico responsabile delle tecnologie mediche?

 

XVI-Convegno-AIIC1

 

E proprio poche settimane dopo la chiusura dei lavori è giunta l’approvazione al Senato del DDL “Omnibus” firmato da Beatrice Lorenzin. Un DDL in cui l’articolo 8 (quello che recepiva in toto le richieste dell’AIIC), recita: “Elenco nazionale degli ingegneri biomedici e clinici. 1. E’ istituito presso l’Ordine degli ingegneri l’elenco nazionale certificato degli ingegneri biomedici e clinici. 2. Con regolamento del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabiliti i requisiti per l’iscrizione, su base volontaria, all’elenco nazionale di cui al comma 1”. Il ddl Lorenzin è ora in attesa di esame da parte della commissione competente alla Camera.

 

Tale approvazione al Senato è stata seguita a stretto giro da un’importante presa di posizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, che hanno espresso un documento di totale approvazione dell’art. 8. Il documento (circolare CNI n.743/XVIII, 6 giugno 2016) riconosce la necessità di “differenziare” la figura ingegneristica, identificando l’ingegnere clinico come soggetto specifico, portatore di competenze e specificità proprie, figura caratteristica di responsabilità e processi biomedicali.

 

Restiamo dunque in attesa di ulteriori sviluppi normativi e nel frattempo: NON SMETTIAMO DI CREDERCI, DI STUDIARE, DI APPROFONDIRE E DI DIVENTARE SEMPRE Più COMPETENTI. A mio modesto parere, infatti, solo la competenza, accompagnata da una giusta dose di tenacia e di voglia di fare, può migliorare la situazione attuale, sia degli Ingegneri Biomedici sia degli Ingegneri Clinici.

 

Cristina.

 

 

Bibliografia:

http://www.aiic.it/index.php/materiale-informativo/

“Clinical Engineering Handbook”, Di Ernesto Iadanza, Joseph Dyro

http://www.telemeditalia.it/it/ej-tecsanitar/content/entry/0/179/3935/lo-sviluppo-dellingegneria-clinica-nei-risultati-d.html#.WLHU3vnhDIU

http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=40768

1 Comment
  • Alessandro Mazzarisi
    Posted at 16:38h, 26 Febbraio Rispondi

    Grazie Cristina per aver fatto partire la rubrica sull’ingegneria Clincia. Grazie anche per la completezza della review sulla normativa italiana e le precisazioni sul ruolo delle due figure professionali di cui ci hai parlato. Sarò felice se vorrai rendere pubblico questo commento.

    Rimane sempre da esplorare il modello di service a cui si “abbandonano” le aziende sanitarie, delegando a terzi i servizi di Ingneria Clinica, allontanando di fatto da se le responsabilità su chi fa cosa e quando le fa.
    E’ mia esperienza personale che quando queste aziende fanno il loro mestiere, cioè tutte quelle bele cose di cui ci hai ampiamente parlato, è difficile verificare se lo fanno, in modo da essere efficaci e utili per il sistema: istituzioni, professionisti sanitari e per ultimi, ma i più imporatanti di tutti, i pazienti.
    Capita che esternalizzando i servizi, gli interessi siano altri, come ridurre i costi di gestione, utilizzare personale impiegato diverso dagli ingegneri clinici etc, e spesso con la consapevolezza della istituzioni che continuano a fare gare al ribasso su un servizio “mai adeguatamente valorizzato”. Indipendentemente da tutti gli annunci dei nostri politici, che poi non sono sul campo a controllare ogni giorno, mi sembra che le regole come i buoni propositi appaiano alla ribalta solo quando i gruppi elettrogeni non partono, le sale operatorie si fermano e ci scappa il morto, oppure non si è provveduto a sterilizzare gli ambienti e la strumentazione è le statistiche sui casi avversi schizzano oltre il normale “nascondibile”. Un’attenzione funzionale solo ai media che non ci meritiamo. [mia personale opinione di addetto ai lavori]

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